Cultura & Intrattenimento

Medea per natura sapiente e conoscitrice di molti mali

di Rossana Venezia

Nell’introduzione alla rubrica ho citato i nomi di grandi donne ispiratrici che hanno orientato ogni tipo di arte attraverso i loro temperamenti e le loro caratteristiche, e tra le prime in assoluto vorrei parlarvi della nostra Medea, personaggio tanto amato quanto combattuto.

Il primo tra tutti a lasciarsi ispirare da Medea è Euripide e faremo riferimento proprio alla sua tragedia per conoscere in maggiore dettaglio questa donna nel mito. Medea è la principessa della Colchide, dopo aver aiutato Giasone a conquistare il vello d’oro lo segue nel suo destino fino a giungere a Corinto, ed è qui che ha inizio la tragedia. La scena si svolge il giorno delle nozze tra Giasone e la figlia del re Creonte. Medea, sedotta e abbandonata dal marito, è costretta all’esilio con i suoi figli, nati dalla loro unione. La donna medita la vendetta. Ottenendo da Egeo, re di Atene, ospitalità, finge di riconciliarsi con Giasone e di accettare il suo nuovo matrimonio. Comincia da qui la sua ritorsione che colpirà dapprima la nuova sposa: Medea invierà alla figlia del re un abito da lei confezionato, ma quando la sposa indossa l’abito il veleno le rode le carni. Anche Creonte morirà nel tentativo di soccorrere la figlia. La seconda parte della vendetta di Medea vede vittima i suoi stessi figli. La donna uscirà di scena fuggendo sul carro del Sole comparso ex-machina.

La tragedia è costruita intorno al personaggio femminile e alla vendetta di Medea, donna che domina la scena dall’inizio alla fine. La vera peculiarità del personaggio va ricercata nella sua metamorfosi, ovvero nei cambiamenti di stati d’animo che durante tutta la tragedia plasmano gli eventi. Sin dall’inizio infatti Medea ne manifesta una gamma vastissima: in primo luogo si presenta la donna passionale e mossa da istinti elementari, poi riprende il controllo e analizza, innanzi al coro, i motivi della sua sofferenza e le ragioni della sua vendetta, e infine la vediamo nuovamente selvaggia come quando Giasone l’aveva conosciuta nella lontana Colchide. In questo modo la psiche della protagonista sembra essere divisa da una lacerante contraddizione interna. Medea è l’eroina negativa per eccellenza, è la rappresentazione di una donna che mostra la sua complessa personalità attraverso atteggiamenti irrazionali ma pieni di ragione.

E0702 FEUERBACH 9826Degna di essere presa in considerazione è la prima entrata in scena di Medea. La donna si presenta al pubblico con totale lucidità ed eloquenza. Se nel prologo il pubblico percepisce, attraverso le urla provenienti dalla dimora della protagonista, il delirio e la follia della nostra eroina, nel primo episodio Medea acquisisce le caratteristiche tipiche di un uomo, anzi di un oratore che tenta di persuadere il suo uditorio, qui rappresentato dalle donne di Corinto. Così Medea appare accuratamente convinta e fiduciosa della sua σοφία e quindi aspramente diversa dalla Medea vinta dalla sofferenza. Questa frattura segna i due poli opposti della personalità di Medea, quello emotivo e quello raziocinante. Nella prima scena l’eroina tratta, in una lunga allocuzione, temi strettamente personali per poi concludere la sua arringa nella descrizione infelice della condizione di sottomissione delle donne. Si tratta di un monologo che anticipa di secoli gli ideali femministi del ’900, svalutando i valori tradizionali della famiglia e contestando il ruolo negativo che l’ordine sociale attribuisce al suo sesso. Il femminismo di Medea verrà sottovalutato quando lo spettatore percepisce, attraverso la caratterizzazione della protagonista, che la donna è abile solo nel procurare male.

Nella seconda scena giunge Creonte, il quale comunica alla donna la decisione di esilio per lei e per I suoi figli. Medea è presa alla sprovvista e tuttavia è in grado di fronteggiare le difficoltà che si presentano e di procedere nel discorso che avrà un esito positivo, ottenendo ciò che desiderava: rimanere in città ancora un giorno. Proprio nel dialogo con Creonte, Medea mostra schiettamente la freddezza del calcolo e quindi manifesta uno dei suoi difetti. L’eroina, infatti, esibisce al pubblico il suo essere straniera, il suo essere donna e infine il suo essere σοφὴ (sapiente). Creonte, impaurito da questa particolare eccezionalità di Medea, pronuncerà: “σοφὴ πέφυκας καὶ κακῶν πολλῶν ἴδρις” (tu sei per natura sapiente e conoscitrice di molti mali). La reazione di Medea alle parole di Creonte si arricchisce di argomentazioni che riconoscono la sua σοφία come una dote intellettuale che risulta essere pericolosa dal momento che attira l’invidia degli inetti. Ma in Medea la coscienza della propria σοφία non si esaurisce nell’isolamento sociale, in realtà raggiunge l’apice quando con orgoglio vi è la scelta della vendetta con la quale punire i propri avversari, cioè annientarli con i veleni (φαρμάκα). Se quindi Euripide mette in evidenza l’abilità femminile di procurare mali attraverso la conoscenza di “veleni”, la vera sapienza di Medea viene fuori con gli artifici retorici grazie ai quali manipola il tiranno, facendo ricorso alla sua debolezza e alla sua impossibilità di nuocere chi è potente.

Medea-SandysMa il personaggio e la donna Medea assume caratteristiche del tutto opposte in un eloquente esponente del mondo latino, Seneca. Medea è un “mostrum” morale: nella prospettiva senecana non è altro che l’incarnazione di una ricorrente malattia dell’animo, l’ira. Sarà la parola furor l’elemento chiave dell’analisi: nelle tragedie di Seneca, e quindi anche nella rappresentazione della Medea, vi è un’attenzione particolare alla configurazione del conflitto tra mens bona e furor. Ben sappiamo che durante la sua formazione filosofica Seneca aveva accolto i principi della filosofia stoica e, in un certo senso, aveva elaborato un nuovo sistema filosofico, il quale poneva al centro della sua indagine il problema morale della vittoria dell’uomo sulle passioni attraverso la volontà. Sembra quindi evidente che Medea, come le altre tragedie trattate da Seneca, fungono da exempla alla dottrina stoica celebrata dal filosofo. Dunque se in Euripide l’eroina della Colchide possedeva la σοφὴ che la distingueva dalle donne ateniesi ed era ragione della sua emarginazione sociale, in Seneca non lo è più, al contrario è il prototipo del modello da non imitare. Medea si è lasciata trasportare dalle passioni, il furor l’ha condotta alla vendetta finché il proprio parossismo, la sua esasperazione non si è mutata in follia.

Un ultimo poeta, scrittore, regista, artista (non meno importante) che si è lasciato guidare da Medea è, da un punto di vista cronologico, molto più vicino a noi. Si tratta di Pier Paolo Pasolini, che attraverso l’interpretazione di Maria Callas ha ricostruito la storia dell’eroina della Colchide ritraendo l’ostinata contrapposizione tra mondo borghese e mondo proletario. Prendendo spunto proprio dal film di Pasolini vorrei indurvi a riflettere sull’infanticidio commesso da Medea, atto di violenza che in precedenza abbiamo lasciato da parte. Qui, così come in Euripide, il delitto commesso da Medea e quindi l’uccisione dei figli avuti da Giasone, rappresentano l’ultimo e ufficiale riscatto della protagonista. Solo con l’infanticidio Medea può definitivamente abbandonare il mondo di Giasone, troncare ogni rapporto con quella Grecia che la vedeva barbara, maga, indegna, non sposa ufficiale di Giasone, ma solo una concubina. I figli tanto amati dalla madre Medea saranno uccisi dalla donna Medea per potersi allontanare in maniera risolutiva da Giasone e da una realtà che l’ha emarginata, respinta, una società che l’ha voluta subordinata al maschio proprio come dettavano le sue leggi, facendo sì che il suo universo fosse osteggiato, e oserei dire cancellato, dagli stessi ricordi di Medea.

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